Testo di Domenico Cara, Milano 1981

“L’immaginario (del finito)”

[….]L’artista compie il ritratto della semplicità naturale con una passione che è stata (ed è) dei migliori artisti che disegnano e incidono, ne provoca senz’altro la coincidenza, rinnova il clamore retinico estremamente puntuale,direi ossessivo, richiesto; non nega mai a se stessa il diritto di conoscenza e di rendimento a questa chiarificazione esplicita di artisticità, a cui ricorre con felicità innamorata, riproducendo il senso del mondo, che non è necessariamente il cosiddetto “nuovo mondo”, e che non diviene mai esperienza o recupero di cose o riscatto iconografico dei loro viluppi pragmatici, o soltanto resoconto della collocazione di realtà. Silvana Martignoni traduce queste ambizioni incalzanti con la corrispondenza euritmica della sua logica poeticità, si risolve in segni continui, fisicamente labili, fra natura morta e scena che vive un suo divenire di elementarità totale, alla maniera della registrazione del percettivo,unificante; con una versione puntuale e forse simmetrica e frammentaria, piuttosto sismografica dell’elocuzione incisoria, e questo permette di miniaturizzare il bersaglio estetico, il gesto individuale, la struttura dell’estasi, con i quali agisce l’integrità appunto della sua “favola” (e il suo modo di specifica.