Silvana Martignoni: sensazioni e icone dell’anima

Patrizia Foglia

L’artista trasforma il mondo, lo fa con la sua sensibilità, lo plasma grazie al suo spirito, lo riproduce attraverso la visione emozionale, carica di memorie, di esperienze vissute.

Ciò che traduce nell’opera è misteriosamente nascosto e viene solo accennato, è ciò che si cela nelle pieghe dell’essere, in una parte impalpabile dell’animo.

Ecco allora che spiegare a parole l’essenza stessa di un’anima è operazione ardua, con la quale ci si cimenta con timore e con una punta di soggezione, credendola quasi impossibile. Viene in aiuto in questo la lettura delle opere che ci permette di avvicinarci gradualmente alla fonte dell’ispirazione. Per Martignoni già nella scelta dei titoli appare chiara la motivazione sottesa alla creazione dell’immagine: è evidente la riduzione del soggetto alla forma e alla sua dimensione segnica, all’essenza della sua stessa identità. Pochi infatti i richiami descrittivi, narrativi, troppo limitanti sia per l’artista che crea che per l’occhio affascinato del fruitore, quasi a richiedere a quest’ultimo uno sforzo, emozionale e introspettivo, verso una lettura che non sia fotografica, meramente sensibile, ma soggettiva, sentita, rivestita di un umore personale, di una appropriazione passionale del soggetto. L’ispirazione è sempre figurativa, parte cioè dall’amata natura, fonte inesauribile e imprescindibile dell’operato di Martignoni, che però la ricrea e le conferisce un forte significato simbolico. Allora i segni graffianti della puntasecca così come i morbidi passaggi chiaroscurali della meravigliosa, suggestiva, misteriosa tecnica del mezzotinto danno vita ad immagini elaborate in una sintesi formale che parte sì dal reale ma cerca di portare in luce, solo accennata, una dimensione altra.

Lontana da qualsiasi moda informale, l’artista lombarda si propone invece con una scelta stilistica e grafica che dialoga in modo serrato sia con la tradizione che con la contemporaneità, che fa proprie suggestioni letterarie e filosofiche e nello stesso tempo approfondisce e ripropone momenti della sua vicenda biografica.

Strettamente legati, stile e tecnica sono gli artefici dunque di una ricerca che parte dai primi anni di formazione per acquisire gradualmente sempre maggiore sicurezza e spessore creativo e che si situa in un più ampio e condiviso approfondimento sulla valenza del fare arte e soprattutto del fare oggi incisione.

C’è nella sua indagine una costanza nella predilezione per il soggetto naturalistico, una fedeltà che rende possibile ripercorrere l’evoluzione sia dal punto di vista dell’ispirazione che della capacità di esecuzione, che permette quindi un confronto tra le opere realizzate negli anni Ottanta e Novanta del Novecento e quelle più recenti. E’ quindi possibile cominciare a definire una storicizzazione delle sue opere in ragione di questa peculiarità e della assoluta libertà da qualsiasi vincolo o costrizione, sia dovuta ad un mercato ormai completamente insensibile ai valori fondanti della creazione artistica sia a contaminazioni della critica.

La scelta del mezzo incisorio non appare casuale: Martignoni non ha abbandonato la pittura e il colore ma la lastra sembra più congeniale a questa ricostruzione dell’elemento naturale e i passaggi chiaroscurali restituiscono effetti di cromatismo.

Le tecniche dirette, nelle quali l’artista lavora il metallo con le punte sino alla elaborazione finale dell’immagine che si palesa poi sul foglio nel passaggio al torchio, sono preferite in ragione di questo rapporto creativo. Così la mano grazie allo strumento dà vita direttamente all’opera senza alcuna mediazione, così come la mente l’ha elaborata.

Scriveva nel 1960 il filosofo Maurice Merleau-Ponty nel suo saggio L’Occhio e lo spirito, rimasto uno dei più interessanti testi dedicati alla fenomenologia della percezione e al miracolo della creazione artistica, che l’opera d’arte “offre allo sguardo le tracce della visione dell’interno”, poiché recupera l’elemento della rassomiglianza ma non sarà mai la mera raffigurazione della realtà.

Così anche nelle sue opere Martignoni offre a noi la possibilità di leggere con un occhio diverso, quel “terzo occhio” richiamato da Ponty, facendo proprio l’incantamento davanti all’opera, disvelando ciò che la natura porta nel suo più profondo Essere.